“aggrappati ad un pensiero felice”, mi stavo ripetendo. Il tutto per avvertire distintamente il crrrrickkkk delle unghie sul parabrezza del tir che oggi ha deciso di fare il frontale con me. Poi incontro, nei blog, un post di questa "ragazza di velluto". E mi torna in mente un ricordo morbido che, seppur per una manciata di secondi, fa arricciare all’insù le rughette della bocca.
Ero in macchina, in una di quelle mattine telecomandate, in cui la strada ha i binari e ti concedi il pilota automatico, tanta è la consuetudine nei gesti e negli itinerari.
Ero nel tempo in cui la provenienza era una casetta piccinissima, una mansarda. Giravo su me stessa scendendo scale a chiocciola, dopo aver chiuso la porta del mio primo regno da persona adulta e consenziente. A tracolla borse capienti e quel cuore grande che hai (che devi avere) nel momento in cui sai di aver appena iniziato una vita nuova.
Posto di lavoro lontano chilometri, che a Roma mica è tanto insolito, ma imbocco del GRA ad un chilometro scarso. Ero in macchina, dicevo prima, il volante era tiepido e una gonna post cambio di stagione si auto-stirava, tra me ed il sedile. C’era sicuramente della musica, (c’è sempre della musica) ma non ricordo cosa. Ad un certo punto….nevica.
Neve leggerissima a tre corsie, neve inspiegabile contro un cielo d’aprile azzurro compatto. E tutto ha iniziato ad andare a rallentatore, mentre fendevo questa tenda soffice e mi sentivo come quando si è immersi in piscina, tentando di affrettare i movimenti.
Davanti a me, un camion, sempre più vicino. Era la fatina della neve: stava perdendo completamente il suo carico di polistirolo.