Archivi del giorno: luglio 12, 2007

dimore, magioni, spero anche “case”.

Prima ParteNoblesseprintc10127647

Oggetti antichi senza polvere sopra. Memorie d’altri, su ripiani di cristallo. Arte acquistata e chissà se acquisita. Così si è presentato l’ingresso di una delle case più belle che io abbia mai (intra)visto. Cena di fine-lavoro, sbirciatina sulla Roma super-ricca, alla quale sono dovuta andare perchè sarei risultata l’UNICA a rifiutare l’invito. E la diplomazia, nel lavoro, eccome se serve.

E’ in assoluto la prima volta che una sorta di maggiordomo mi accoglie all’atrio del palazzo per aprirmi l’ascensore ed indicarmi a che piano salire, quindi faccio il primo largo sorriso ed inizio, da subito, a limitare lo strascicamento romano delle "c". Incontrata la padrona di casa, impeccabile come se stesse posando per il suo ritratto, saliamo la prima rampa di scale, trovandoci catapultati -in buona sostanza- in quello che potrebbe tranquillamente essere un set cinematografico: la terrazza si staglia, perfetta, contro il cielo notturno e baluginante luci, del centro di Roma. In un solo colpo d’occhio, non riusciamo a "tenerci dentro" tutti i principali monumenti compresi nella visuale. Bisogna proprio voltare tutta la testa, con un movimento lento ed incredulo, per acchiappare San Pietro, l’Altare della Patria, il Rione Monti, l’Esquilino e la chiesa che, ACCANTO al terrazzo, conclude la carrellata delle diapositive "Baci dalla Città Eterna".

L’aperitivo è servito da camerieri in livrea bianca, in una semioscurità che, per carità, farà tanto scìkke, ma nun ze vede ‘na mazza. Un collega alquanto innervosito, brandendo un frittino -per antonomasia unto al punto giusto-, grugnisce un "ma ci sono dei minchia di tovaglioli da qualche parte?", avendoceli a due centimetri dal mignolo destro. Uno dei Registi presenti, invoca la luce di un bengala. Io, mi avvicino quasi ad inzuppare il naso dentro ogni scodellina, piattino, vassoietto, per capire -almeno usando l’olfatto- di cosa si componga il tutto. Intanto il solerte serveur si affretta a prendere lui stesso dal vassoio d’argento i calici di champagne, porgendoli ai convitati un po’ disorientati. Da parte mia, ne ingurgito un paio e poi provo il vino rosso, augurandomi la sonnolenza da mini-sbornia, che conceda torpore al mio senso critico. Niente da fare. Sveglissimo, affila i canini.

Con largo gesto della mano tintinnante ori, ci viene indicata la via per scendere alla TERRAZZA SOTTOSTANTE, in pratica un luogo abbastanza ampio da contenere la corsa delle bighe di "Ben Hur". Tre tavoli tondi ci attendono. Tovaglie bianche con lo strascico, stoviglie di porcellana così pregiata da essere traslucida, posate con simbolo della casa, piattino con 3 tipi di pane diverso, vini, centrotavola profumato da fiori freschi.

(continua e si conclude nella seconda parte)

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